[rubrica a cura di Ivana Mulatero, ideatrice e curatrice di CuneoVualà]
Chi è Elena Beatrice? Qualcosa di lei lo abbiamo saputo dai quattro taccuini che ha esposto alla recente esposizione CuneoVualà 2020, presso la Fondazione Peano. Nel primo, un gruppetto di pagine, dal tenue giallino di fondo, ci hanno fatto rivivere una sua esperienza in Corsica nell’estate 2016 raccontata in uno stile brioso, sbarazzino e molto cool che ci ha subito conquistati.
Il tratto nero che contorna ogni cosa è inconfondibile. Scrittura e figura sono su un medesimo piano narrativo e visivo, e anche le pagine ricevono un layout naturale nel bilanciamento dei pieni e dei vuoti. Una dote che Elena Beatrice trae evidentemente dal suo background di illustratrice, sceneggiatrice e regista.
Il colore è solo un accenno, giusto la sottolineatura della forma contornata dal nero al tratto. Potremmo quasi definirlo un colore-ombra in alcuni casi, oppure il riempitivo delle figure che l’autrice ha radunato in queste pagine che ricordano gli alfabetieri della prima scolarizzazione, dove ogni immagine – A di Ape, B di Barca e così via… – è fortemente iconica, tanto da stamparsi indelebilmente nella nostra memoria, come credo sia successo per Elena Beatrice che isola in singoli fotogrammi una sorta di ouverture alla vita da campeggio.
Due pagine in cui la linea è protagonista assoluta di una serie di spassose ed eleganti narrazioni. Intrecci, onde, frecce, riccioli, ripetizioni di sillabe che si muovono come in una tavola parolibera futurista in ogni direzione. Penso all’autoritratto di Corrado Govoni del 1915 esposto alla Estorick Collection, tanto per dirne una.
Un’altra doppia pagina intesa come un episodio di una storia in cui il taccuino è come una sorta di anticamera della sceneggiatura vera e propria di un film autobiografico. Ci sono i riquadri in cui è preponderante la presenza del segno scrittorio a cui fa da contraltare uno sketch, sempre al tratto, che estende in sola immagine la rilassante vita da spiaggia di un villaggio naturista. Giallo solare, verde un po’ acido, azzurro vitreo e instabile e i rosa quasi ocra, sono gli unici colori prescelti. Persino la stesura del colore ha lo stesso ductus del segno, non è mai una campitura ma un depositarsi febbrile. Il pennello segue l’istantaneità della visione, che per Elena Beatrice è sempre una esperienza sinestesica da affrontare con tutti i sensi, a sua volta passati al vaglio di una intelligenza viva, prensile e ironica che plasma il senso generale del racconto quasi con humour. In un capitolo del taccuino di divertito buon senso.
Come nelle tavole illustrative di ambito scientifico in cui sono riportate le varianti tipologiche di un determinato soggetto, troviamo due interessanti riflessioni che riguardano alcuni stati d’animo prettamente umani. Il disagio e l’imbarazzo, certamente, trattandosi di un villaggio naturista, ma anche l’assenza di connotazioni sociali con la scomparsa degli abiti e poi, soprattutto, quasi come una conquista: l’accettazione di sé.
Ma al di là delle emozioni, conta anche molto la curiosità con cui Elena Beatrice ha osservato, da un punto di vista formale, estetico e tipologico, le persone intorno a lei. Ricordo che uno dei padri nobili del carnet de voyage, Leonardo, era capace di seguire per un giorno intero quel volto che lo aveva attratto, con penna e taccuino in mano. E non troppo diversamente, il celebre fotografo Steve McCurry raccomanda: “Se vedi un’immagine interessante, stacci attaccato!” (questa massima mi è facile da citare perché è la stessa Beatrice a riportarla nel suo taccuino, qualche pagina dopo, quando va in visita alla mostra di McCurry alla Reggia di Venaria).
E come va a finire? Come nei “The end” dei film, vediamo scorrere le figurine francobollo che chiudono il viaggio disegnato, quasi pronto per essere riversato in un altro display, magari in un libro illustrato che riassume una piccola esperienza così ben scandita da risultare valida, ma per chi? Per tutti coloro che non potranno che riconoscersi in certi passi, in determinate considerazioni, e anche nei momenti buffi o strani che, con segno riassuntivo, ricordano ad ognuno di noi il ruolo di campeggiatore interpretato, con eccessivo slancio o troppa disinvoltura, in una delle nostre vite precedenti.