[rubrica a cura di Ivana Mulatero, ideatrice e curatrice della rassegna CuneoVualà]
Marisa Sartirana dipinge, colora e disegna per conto proprio e conduce esperienze di arte/terapia e di animazione artistica dalla metà degli anni ’70. Da qualche tempo, però, compone immagini. Le insegue, mettendo insieme frammenti di realtà, come fossero le note per un musicista. Fin dalla copertina – che è la porta che apre ad ogni viaggio – la composizione è nel contrappunto da bricoleur che trova degno strumento e meta finale, il collage.
Il viaggio di Marisa unisce l’interiore e l’esteriore in un unico foglio, le carte colorate e i ritagli di giornale sono la lingua con cui si esprime il suo carnet, una combinazione di elementi diversi per dare una nuova forma e significato, come era del resto nel lungo tempo di quarantena durante il quale “si stava ricomponendo la classifica dei valori, si modificavano le piccole abitudini che determinano i grandi cambiamenti”.
“Le immagini sono come camere delle meraviglie: un multiforme assemblaggio il cui scopo è quello di creare icone per uno studio magico dell’attualità”.
“La stanza si riempie di in-pazienza. È come partire per un lungo viaggio senza conoscerne la meta. La bussola non è nelle nostre mani…”.
“Non c’è che continuare a restare chiusa e al chiuso, concentrata come un seme per contenere e far maturare tutte le energie. Amo la solitudine, ma questa è estrema…”.
Un’attesa concentrata che diviene vortice, crateri e ricettacoli di emozioni sui quali danzare. Anche i carnet si trasformano in manuali di sopravvivenza ai tempi dell’isolamento da coronavirus. Quelli di Marisa Sartirana sono nati così, cercando giorno dopo giorno la narrazione di questa tragedia collettiva tra le parole e le immagini della quotidianità. Ma per dare senso e anche poesia allo scoramento che ci ha presi dentro e “dal di dentro”.
Il carnet delle immagini giustapposte, dei ritagli e delle relazioni impreviste, su cui giova riandare alla grande pioniera del copia/incolla Hannah Höch, nasce senza un piano preciso. Dice Marisa: “Ho iniziato non sapendo cosa avrei fatto, né d’altronde, conoscendo quanto tempo sarebbe durato l’isolamento; solo in un secondo momento ho diviso le parti di una storia che pareva interminabile nei tempi della tragedia classica: prologo, atto primo, atto secondo, epilogo e…
Alla fine è il tempo di disfare il filo di immagini e parole composte in questi spazi reali e in quelli immaginati, di aprirsi agli altri, di condividere, di cercare un altro equilibrio. Nel frattempo, come ha fatto Marisa, cominciamo ad organizzare le pagine dei nostri giorni organizzando gli elementi che incontriamo, come i meravigliosi e turbinosi collages dentro lo spazio di un taccuino.