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Quaderni on line di andata e ritorno…a Cuneovualà 2020 (ventiseiesima puntata – Claudio Borsato)

[rubrica a cura di Ivana Mulatero, ideatrice e curatrice della rassegna CuneoVualà]

I carnets dell’immaginazione attiva sono lo specchio di quanto si è assimilato dai luoghi visitati, dalle persone incontrate e dalle cose viste. In altre parole, oggi abbiamo la preziosa opportunità di “sfogliare” le pagine del taccuino “Un mese in India” di Claudio Borsato, realizzato dal 13 maggio al 10 giugno 2017.
“Erano anni che io e mia moglie Chiara – precisa Claudio – sognavamo un viaggio in India, ma c’è voluta nostra figlia, che ha vissuto cinque mesi a Delhi, per farci da guida in quel mondo diverso in tutto”. 
Le pagine che mostriamo non si possono vedere solo per quello che raffigurano, non solo per le tipologie architettoniche colte da uno sguardo educato alla progettazione, non solo per i visi curiosi dei bambini, non solo per i riti osservati con lo stupore dell’occidentale, ma per cogliere quanto quei luoghi e quelle cose abbiano viaggiato dentro il disegnatore. Guardiamo le pagine di New e Old Delhi, “città immensa e multiforme, traboccante di confusione e di colori”. 
 
L’India immaginata e l’India vissuta si mescolano in una reale geografia emozionale: un magma in continuo divenire di tutte le suggestioni metabolizzate nel tempo. “I terribili Sikh, pensavo una volta – annota Claudio tra le figure tracciate con segno spezzato e contornante – i guerrieri feroci con turbante e lunga barba… Macché feroci, i Sikh sono gente buona e la loro religione predica la tolleranza e l’aiuto reciproco. Unico difetto è.. che si sono dati troppe regole da rispettare!”.
 
 
 
Alcune pagine mostrano l’attitudine del disegnatore-osservatore- abitatore del mondo, a reinterpretare l’esistente. Straordinaria la similitudine della forma conica del minareto Qutb Minar, il monumento tra i più famosi del’India, la cui facciata è stata colta suggerendo nei colori e nell’accentuazione sferica delle colonne, un fascio di enormi canne di bambù, che potrebbero piegarsi al soffio del vento e poi ritornare dritte e maestose.
 
 
La realtà in India, come altrove, è soggetta al divenire dei singoli episodi e per il disegnatore si tratta di scegliere, fermarsi a disegnare i luoghi che suscitano curiosità e meraviglia, come le decine di indiani e indiane “ accucciate sui prati a curare ogni filo d’erba, stando ben bilanciati sui piedi, con il sedere che sfiora il terreno senza toccarlo e le ginocchia all’altezza del viso”. 
 
 
Dopo New e Old Delhi, una puntata nel Rajastan, a Jaypur, e poi verso nord-est, fino ai villaggi himalaiani dell’Himashal Pradesh. 
 
 
 
La voglia di annotare sul carnet quanto visto è dettata da tanti fattori legati al momento e alla spinta degli eventi, e soprattutto dal contatto umano: costante e vivacissimo. Spesso il disegno diventa un mezzo per stabilirlo. I ritratti che ricorrono numerosi nel taccuino quasi sempre sono stati richiesti, se non pretesi, dai soggetti stessi. 
 
Come negli altri luoghi narrati visivamente, anche a Varanasi, il cuore sacro dell’India, la visione degli aspetti monumentali, colti dall’alto e da una certa distanza, non sono importanti in quanto tali ma per la vita che si svolge attorno e per la partecipazione che questa suscita, anzi impone, senza alcuna possibilità di scampo. 
 
Infine, l’arrivo a Rishikesh, altra città santa sulle rive di un Gange giovane e turbolento, circondata dalla giungla. Affrontarla con matita, penna e colori, ha significato per Claudio, ritrovare sottopelle la cultura beat, la memoria del mitico “White album” dei Beatles, il cui ashram, dove andavano a meditare, è ora abbandonato. Tra le scimmie buffe, che un segno al tratto rapido coglie nei soli movimenti agili, lasciando che il bianco della carta sia il loro corpo, serpeggia la nostalgia. Sono le sedimentazioni del tempo, come i muri a secco che l’acquerello delinea con dovizia, dandoci a sentire la levigatezze e l’asperità dei singoli ciottoli del tempo.
 
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