[rubrica a cura di Ivana Mulatero, ideatrice e curatrice della rassegna CuneoVualà]
È dai primi anni ottanta che Antonio Mascia, in arte il ‘cartoliniere’, compone diari per sole immagini disegnate dalle cui costole, come novelle Eve, nascono le piccole opere portatili viaggianti chiamate cartoline. Ognuna di esse, e sono ormai quasi cinquemila, è disegno che diventa scrittura, che diventa racconto, fiaba, vita, sogno.
A partire dal marzo 2020, per circa quattordici settimane, lungo il periodo di ‘novantena’, come ama chiamarlo lui, egli ha postato sul suo ‘stato’ di whatsapp una cartolina. Ne abbiamo scelte quattro, giusto per rivederle in questo clima vacanziero che favorisce il rimando a quei cartoncini illustrati ormai scomparsi, come le lettere, il telefono fisso, le carte stradali.
Si comincia con “Fuoco al focolaio”(4 marzo), una cartolina che, come tutte le altre, è stata realizzata a penna a biro, matite colorate e collage, disegnata su un cartoncino formato 15×10 cm, poi spedita con data e timbro sul retro. Il titolo è sempre ironico, un calembour di senso. Il fuoco è quello che un dragone di Pietro Micca sta sparando da un fucile settecentesco al focolaio del virus, una immagine emblematica di un’azione che si desidera risolutiva, ma forse non ancora adeguatamente attrezzata per far fronte a un nemico del XXI secolo.
Al principio della fase 2, con la riapertura dei negozi, c’è chi passeggia sotto la pioggia portando con sé i propri cari, gli esseri più indifesi, come il gatto siamese. “Stai molto attrento!”, suggerisce un movimento circospetto nella città di Trento, che è poi sempre, e ancora, un paesaggio esistenziale che il cartoliniere ritrova in se stesso e che trasmette a chi riceve la cartolina.
Si brinda alla fase, 3 rimanendo ben rintanati ancora nel sottosuolo, come si vede nella cartolina “Stappasub!gelsomino”, al che veniamo a sapere di quale specie è il grande albero che affonda le sue radici nella relazione tra l’uomo e la donna. È l’albero della vita, della bellezza, della natura creativa e rigogliosa, le cui radici sono i gesti intrecciati dell’umanità.
Le cartoline compongono un particolarissimo album di personaggi, di luoghi, di situazioni, di forme espresse e letture fantastiche. Sono carnets de voyages a modo loro, avverte Rosangela Risso, percorsi inusuali di una inusuale geografia parallela, una geografia umana, ma anche animale, e vegetale e minerale e, a volte, macchinica, come in “Scardaccione “, una allegorica riparazione a degli ingranaggi di un corpo, quello della società, delle sue abitudini, costumi, usi, di un certo modo di vivere, interrotto dall’irruzione del virus.
Per rammentare che una cartolina è in primo luogo il viaggio di un’emozione – ovvero un brano di fantasia che viaggia nel mondo reale – il cartoliniere ha fabbricato delle cassette postali ai confini dell’incredibile, quasi lastre-scultura come nota Fulvio Cervini, dal profilo antropomorfo che vivono fagocitando immagini.
A ben vedere, l’idea della cartolina sopravvive anche nei piccoli riquadri dei numeri civici disegnati, realizzati in ceramica e poi installati sull’uscio di alcune case di un piccolo borgo molisano, Chiauci, all’interno del quale, ecco spuntare su un muro un cartello con l’indicazione viaria, realmente esistente, che il cartoliniere ha realizzato con l’inconfondibile intreccio dei segni della penna a bic blu su una tavola di ceramica. Dal piccolo cartoncino di carta alle strade del mondo.